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Gaza: una storia di repressione, resistenza e ribellione

Aggiornamento: 11 ott 2023


A Gaza le bombe continuano ad esplodere ininterrottamente da tre giorni. Continuando così non si sa che cosa rimarrà oltre alle macerie della striscia di Gaza, ed è solo il preludio ad un dichiarato attacco via terra ed un assedio e blocco già avviato. Nel mezzo, ci sono i civili, persone che non sanno più dove nascondersi e dove scappare, chiusi come topi in una gabbia, in un’area segregata tra le più densamente popolate del mondo.


Gaza è una striscia di terra circondata da mura, che confina a Sud con l’Egitto con il valico di Rafah, ad Ovest c'è il Mar Mediterraneo, a Nord ed Est con Israele che controlla i valichi.


Negli anni ha accolto migliaia e migliaia di rifugiati che lasciavano le terre circostanti, una volta la loro casa, assediati ed espulsi dalla colonizzazione israeliana che si è protratta indisturbata nella zona. Qui vivono tra abitazioni e campi profughi più di due milioni di persone, tra povertà e disoccupazione, che ora sono il bersaglio degli attacchi israeliani.


Normalmente, queste operazioni prevedevano un avviso alla popolazione civile: “Il vostro edificio sarà abbattuto, avete giusto il tempo di lasciare le vostre case”, giustificato dall’attacco mirato a stanare componenti di Hamas, ma negli ultimi giorni, Israele sta bombardando indiscriminatamente, senza nessun monito. Intanto, svariati edifici sono stati abbattuti, un mercato, un campo profughi, e i civili stanno pagando il prezzo altissimo delle azioni di Hamas.


Il punto che rimane insondato è proprio il supporto della popolazione a quest’organizzazione che negli anni si è radicata nella zona della Striscia, laddove la disperazione alimenta l’estremismo.

Hamas, acronimo di Harakat al Muqawama al Islamiyya, ovvero Movimento Islamico di Resistenza, è un’organizzazione politica e paramilitare, sunnita ed estremista, sviluppatasi sotto l'influenza dei Fratelli Musulmani in Palestina alla fine degli anni ’80 dopo la prima Intifada (rivolta), per resistere all’oppressione israeliana, con il suo braccio armato Al Qassam.


Questa organizzazione, complice la perdita di carisma ed efficacia e la dilagante corruzione dell’ala politica più moderata di Al Fatah (acronimo di Harakat al Tahrir al Filastini, ovvero Movimento di Liberazione Palestinese), ha vinto le elezioni nel 2006 con il 44% dei voti, a cui fece seguito un anno dopo la battaglia di Gaza, tra Hamas e Al Fatah, che si risolse con la predominanza di Hamas nella striscia e di Al Fatah in Cisgiordania (West Bank), a capo dell’Autorità Nazionale Palestinese. Da allora non sono state indette nuove elezioni.


Questo disegno illustra come il sostegno palestinese ad Hamas sia frammentato, ed oggi ci sarebbe da chiedersi quanto la popolazione si aspettasse l’attacco su più fronti perpetrato da Hamas su Israele, di quanto supporto goda questo atto che è stato definito terrorista dalla maggior parte del mondo occidentale. Perché si fa di tutta l’erba un fascio e nel mezzo ci sono i civili.


Laddove c’è un buco nel sistema, laddove non esiste uno stato o una guida per la popolazione, sono questi movimenti che si radicano promuovendo politiche socio-economiche e andando incontro alle esigenze dei civili, seppure non è chiaro di quanto sostegno goda l’aspetto più estremista dell’organizzazione, sembra essere l’unica alternativa rimasta alla gente abbandonata su questo pezzo di terra.


Per questo è importante contestualizzare gli attacchi eseguiti da Hamas, affinché non si consideri un nemico per l’Occidente la totalità del popolo palestinese, che è stato probabilmente colto di sorpresa quanto il resto del mondo dall’efferatezza delle azioni, e nella sua disperazione, non sa se esultare o rammaricarsi, assistendo impotente all’arrivo della distruzione promessa da Israele.

Bisogna considerare che l’Occidente non può lavarsi le mani di fronte all’accaduto, semplicemente schierandosi per la difesa di Israele, perché in primis, gli artefici di una situazione bomba pronta ad esplodere siamo stati noi. Alla fine della prima guerra mondiale, la Società delle Nazioni affidò il controllo della Palestina all’Impero Britannico, che divenne suo protettorato.


Spinti dalla dichiarazione Balfour, per il ritorno alla “terra promessa” sede dei maggiori siti religiosi ebraici, gli Inglesi si fecero promotori della costituzione di un focolare ebraico in Palestina, alimentando un flusso migratorio enorme da parte di Ebrei da tutto il mondo, che per ovvie ragioni, aumentò durante lo svolgersi della seconda guerra mondiale, causando i primi attriti tra Ebrei e Arabi Palestinesi.


Nonostante la rivolta della popolazione locale per l’insediamento israeliano, le Nazioni Unite approvarono un piano di spartizione della Palestina con Gerusalemme posta sotto controllo internazionale, il Regno Unito abbandonò la zona e nel 1948 Israele dichiarò la nascita dello Stato di Israele, che portò all'attacco da parte dei paesi arabi Egitto, Siria, Libano, Iraq e Giordania, in sostegno alla popolazione araba palestinese.


L’attacco venne prontamente respinto da Israele, ciò condusse alla Nakba, “catastrofe”, che comportò l’assedio israeliano di svariate zone della Palestina e l’esodo di centinaia di migliaia di palestinesi.


Sono seguite la guerra dei sei giorni (1967) e la guerra dello Yom Kippur (1973), a cui si è avvicendata la continua occupazione del territorio palestinese, l’insediamento di nuovi coloni, l’alimentazione dell’odio razziale e l’assoggettamento della popolazione che non vive più libera nelle proprie case, ma deve sottostare alle regole e vessazioni israeliane, in una condizione di apartheid.


Solo la possibilità di moderazione avrebbe potuto portare ad una risoluzione del conflitto, ma le parti negli anni si sono direzionate ad una svolta sempre più estremista, in cui gli attori prevalenti oggi sono un governo di estrema destra ad Israele da una parte, e Hamas dall’altra portando ad un’escalation della situazione ed alimentando questo vortice di vendetta senza fine.


La guida politica di Israele non opta per una convivenza pacifica, ma sembra non essere mai sazia di acquisire sempre più territorio e controllo sulla terra palestinese e questo spingersi sempre oltre porta a minare le basi della solidità dello stato stesso che ha costruito. Se nessuno ferma Israele sono ormai le ale più estremiste palestinesi a cercare di fermarlo, con metodi ingiustificabili, barbari ed estremi e che hanno fatto rivoltare la maggior parte dell’opinione pubblica mondiale.


Così come Israele con le proprie azioni dimostra di non accettare la presenza palestinese, Hamas non accetta l'esistenza dello stato Israeliano. Questa è solo la punta estremista di un iceberg che riguarda una questione irrisolta da troppo tempo.


Il problema è che "il terrore che provano ora gli Israeliani, è stata l'esperienza quotidiana di milioni di palestinesi per troppo tempo".

Sarebbe ora, oggi che tutti i riflettori sono puntati sulla questione, che un organo come le Nazioni Unite mostrasse il motivo per cui è stato istituito. Sarebbe ora che la comunità internazionale cercasse di mediare per una de-escalation della situazione, anziché accordare il proprio supporto incondizionato ad Israele, ignorando ancora una volta la questione palestinese che è il cuore della catastrofe a cui assistiamo oggi.


Non è possibile cercare di porre fine alle violenze ed avviare un processo di pace che prescinda dall'implementazione della giustizia. Sarebbe ora che anche la popolazione palestinese ottenesse i diritti che le spettano, solo con determinate garanzie e con la fine della repressione non servirà più il ricorso alla ribellione, alla rivolta e alla violenza. Ciò che è importante è schierarsi non solo con Israele, ma con entrambe le parti.


 


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